La Diocesi di Bergamo ha presentato il progetto di restauro dell’Aula Picta, il cuore del palazzo medievale che ospiterà il nuovo Museo Diocesano Adriano Bernareggi di Bergamo, in Città Alta, tra la Basilica di Santa Maria Maggiore, la Cappella Colleoni e l’attuale Curia.
L’Aula Picta, la sala delle udienze del Vescovo di Bergamo, è un capolavoro unico nel contesto dell’arte lombarda del XIII secolo, per la vivacità cromatica, la varietà narrativa e la ricchezza dei dettagli iconografici degli affreschi ma anche per lo stretto legame tra funzione del luogo e soggetti raffigurati, caratterizzati dal linguaggio simbolico tipico dell’epoca.
All’interno della sala è terminato il “cantiere pilota”, avviato nel mese di gennaio 2025, che ha portato al recupero di parte della parete est e che si è rivelato utile a definire i criteri per l’intervento di restauro complessivo, con termine lavori previsto entro il 2026. L’intervento è promosso da Fondazione Adriano Bernareggi e interamente sostenuto da Fondazione Banca Popolare di Bergamo – EF con una donazione di 140 mila euro. La supervisione e la direzione scientifica del cantiere di restauro sono affidate alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Bergamo e Brescia; il restauro è a cura di Villa Restauri di Tiziano Villa, sotto la direzione lavori dell’architetto Giovanni Tortelli dello Studio GTRF di Brescia.
Dal giorno successivo all’inaugurazione del nuovo Museo Diocesano, fissata per sabato 27 settembre 2025, i visitatori che transiteranno all’interno dell’Aula Picta potranno ammirare i dipinti già restaurati e osservare da vicino il lavoro dei restauratori: un’opportunità per conoscere non solo la storia degli affreschi, del Palazzo e del contesto storico-culturale a cui risale, ma anche il percorso di valorizzazione intrapreso da Fondazione Adriano Bernareggi.
Fondazione Banca Popolare di Bergamo – EF ha sostenuto con convinzione il restauro dell’Aula Picta, con l’obiettivo di restituirla alla fruizione pubblica. In accordo con la Diocesi di Bergamo ogni prima domenica del mese, in coincidenza con l’ingresso gratuito ai musei statali, l’accesso all’Aula Picta sarà libero e gratuito per tutti.
Don Davide Rota Conti, direttore Museo Diocesano Adriano Bernareggi: «L’Aula Picta è senza dubbio il luogo più bello dell’antico Palazzo del Vescovo di Bergamo: grazie ai preziosi affreschi è un “gioiello” artistico, storico e architettonico che la Diocesi ha voluto valorizzare con un lungo e attento intervento di recupero. Un impegno che potranno toccare con mano anche i visitatori del nuovo Museo Diocesano, di cui l’Aula Picta è il cuore pulsante: grazie al cantiere in corso il pubblico potrà ammirare dal vivo il lavoro dei restauratori sulla sala. È anche questo un modo per rendere i visitatori partecipi dei lavori di valorizzazione legati al nuovo Museo Diocesano, un Museo della Diocesi per la comunità».
Armando Santus, presidente Fondazione Banca Popolare di Bergamo – EF: «Fin dalla sua nascita, nel 1991, Fondazione Banca Popolare di Bergamo – EF sostiene le iniziative di conservazione, recupero e valorizzazione del patrimonio storico-artistico del territorio, oggi insieme ad Intesa Sanpaolo. È un investimento non solo sulle strutture e sui beni, ma soprattutto sulla bellezza, sulla memoria e sulla tradizione di un’intera comunità. L’Aula Picta, con le sue peculiari caratteristiche, porterà i visitatori a viaggiare nella Bergamo del Medioevo, aiutandoli così a comprenderne le radici storiche, sociali e religiose. Il nostro impegno è quello di offrire a tutta la comunità la possibilità di accedere liberamente alla bellezza dell’arte».
L’AULA PICTA
L’Aula Picta, dal latino “sala dipinta”, è la sala delle udienze del Vescovo di Bergamo in epoca medievale, interamente decorata con affreschi realizzati nel XIII secolo. Un tempo in cui il Vescovo rappresentava non solo la massima autorità spirituale della città, ma deteneva anche il potere giudiziario e politico. Era l’epoca precedente alla nascita dei comuni, quella del vescovo-conte, del vescovo-giudice. In questo contesto, l’Aula Picta era un luogo in cui si redigevano e validavano documenti legati a proprietà e possedimenti, in cui si amministrava la giustizia, ma era anche un luogo di incontro, di dialogo tra le corporazioni e uno spazio in cui sanare i contrasti tra le diverse fazioni della città, un luogo dunque dalla finalità anche “diplomatica”.
A rendere unici gli affreschi di questa sala nel contesto del panorama pittorico del Duecento è l’associazione tra la particolare funzione del luogo e le raffigurazioni del ciclo pittorico, che accostano scene della vita di Cristo con elementi escatologici (legati, cioè, alla fine dei tempi) e richiami al tema della giustizia. Così l’Aula Picta esprime il desiderio della Chiesa medievale bergamasca di promuovere un buon governo della città, ispirato ai principi evangelici.
L’autore degli affreschi è anonimo, così come non si conosce con precisione la datazione dei dipinti: l’arco temporale stimato dagli studiosi è quello della seconda metà del Duecento.
IL PROGETTO DI RESTAURO
L’architetto Mara Micaela Colletta e la dott.ssa Silvia Massari della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Bergamo e Brescia, che seguono passo passo il progetto di restauro, così lo descrivono: «Testimonianza di importante rilievo nell’ambito della pittura lombarda del Duecento, l’Aula Picta della Curia di Bergamo mostra, nei temi iconografici proposti, la sua funzione di raccordo tra lo spazio sacro della Basilica e quello politico del Palazzo vescovile, che unisce anche dal punto di vista architettonico. All’esteso ciclo pittorico dedicato alla vita di Cristo, si affiancano infatti immagini di carattere profano, probabile riferimento all’originaria funzione amministrativa e giuridica dell’ambiente, oltre a un campionario di bizzarre figure deformi che ritornano sia nei medaglioni della parte mediana delle pareti che nel fregio continuo alla sommità. Le vicende conservative dei dipinti murali sono solo in parte ricostruibili: dalla loro riscoperta, negli anni Trenta del Novecento, durante i lavori diretti da Luigi Angelini, i dipinti hanno subito almeno tre interventi di restauro. Il primo, nel 1938, venne affidato al pittore-restauratore Arturo Cividini che tentò di restituire leggibilità alle immagini dipinte, fortemente deteriorate in seguito all’intervento di rimozione degli scialbi sovrammessi, con estese ricostruzioni pittoriche di fantasia, che vennero poi parzialmente rimosse durante il successivo intervento di restauro eseguito da Pinin Brambilla Barcilon negli anni Settanta. Con il terzo intervento, eseguito all’inizio degli anni Duemila, si decise di rimuovere tutti i precedenti interventi ricostruttivi, compresi quelli da considerare ormai storicizzati, per sostituirli con un’estesa reintegrazione a tratteggio, tecnica messa a punto dall’Istituto Centrale per il Restauro negli anni Quaranta del Novecento per l’integrazione pittorica, circoscritta, delle lacune. Il tratteggio venne qui eseguito su tutte le abrasioni della pellicola pittorica, attuando numerosi ripristini arbitrari di elementi figurativi in assenza totale di elementi e nessi attendibili a guidare l’operazione. L’ampia reintegrazione a tratteggio celò tuttavia le poche tracce di policromia superstite, inducendo una percezione falsamente uniformante della superficie pittorica e nascondendo alcuni dettagli figurativi originali che è stato possibile far riemergere durante il cantiere pilota di restauro attualmente in corso, condotto dalla Curia di Bergamo e affidato al restauratore Tiziano Villa, grazie a un’attenta operazione di pulitura. In fase di cantiere pilota, si è deciso pertanto di rimuovere integralmente la reintegrazione a tratteggio eseguita nel 2002 per sostituirla con un intervento che si propone di essere più rispettoso del tessuto pittorico originale e delle condizioni conservative dei dipinti. In accordo con la Soprintendenza, si è scelto di adottare una modalità di reintegrazione più consona ed equilibrata, lavorando a velatura, sottotono e non a colore, in modo da smorzare l’emergenza visiva delle lacune, e permettere allo sguardo di intuire le forme originarie delle immagini dipinte, senza la necessità di intervenire in modo ricostruttivo. I funzionari della Soprintendenza sono stati costantemente presenti in cantiere per fornire le direttive necessarie all’esecuzione delle delicate operazioni di restauro. Oltre al restauro dei dipinti medievali è previsto anche il riordino delle ampie porzioni di intonaci trattati a “neutro” dal Cividini negli anni Trenta, che si presentano attualmente molto annerite e necessitano di un intervento di pulitura per poter meglio dialogare con i dipinti restaurati».
Il CICLO PITTORICO: LA VITA DI CRISTO, LA GIUSTIZIA E LA “RUOTA DELLA FORTUNA”, SANT’ALESSANDRO E I VESCOVI NARNO E VIATORE
La vita di Cristo – sul registro mediano delle pareti – è raffigurata nei suoi episodi principali, alcuni pressoché irriconoscibili a causa dei danni del tempo: se ben visibili sono l’Annunciazione e la Natività (con richiami all’Ultima Cena e alla Passione) e Cristo davanti a Pilato, si può solo intuire la presenza della scena del Rinnegamento di Pietro, di Giuda Impiccato, della Derisione di Cristo, di Crocifissione, Resurrezione e discesa al Limbo. Segue una successione di temi escatologici: due figure simmetriche di Cristo in mandorla e della Seconda parusia (il ritorno di Gesù alla fine dei tempi che precede il Giudizio Universale), dove è visibile l’elemento della spada (in bocca a Cristo) come strumento di giustizia, con cui dividere giusti e colpevoli, l’arcangelo Michele che pesa le anime, la Fenice che rappresenta la resurrezione della carne ed è immagine simbolica di Cristo.
Il linguaggio di riferimento con cui leggere gli affreschi è quello simbolico tipico dell’età medievale, per cui non mancano elementi irrazionali e lontani dalla cultura moderna. Da questo punto di vista, uno spazio consistente è dedicato al tema della fortuna: anticamente impersonificato da una dea dispensatrice di felicità terrena e condannata dai Padri della Chiesa, nel medioevo è recuperato come mito rappresentato dall’immagine di una ruota che gira incessantemente, paradigma della caducità umana. La Ruota della Fortuna dipinta all’interno dell’Aula Picta presenta, in corrispondenza dei quattro punti cardinali, altrettante condizioni umane che si alternano al girare della ruota e dunque del tempo. “Leggendo” l’affresco in senso orario la figura regale che troneggia alla sommità della ruota (dove campeggia la scritta latina “Regno”) prima o poi prenderà il posto di chi, aggrappato a testa in giù, non può che rimpiangere i tempi andati (“Regnavi”, “ho regnato”). Schiacciato dal peso della fortuna, alla base della ruota è appeso chi ormai non ha più nulla (“Sum sine regno”, “sono senza regno”). L’ottimismo, invece, pervade la figura in ascesa (“Regnabo”, regnerò). Apparentemente estranea all’allegoria della ruota, la sottostante coppia di uccelli, specularmente protesa verso una coppa, ne è in realtà il necessario complemento: rappresenta due pavoni che si abbeverano al calice, emblemi di incorruttibilità e immortalità, dell’eterna beatitudine celeste da contrapporre alla fugace felicità terrena, alle alterne vicende umane simboleggiate dalla ruota in perenne movimento. L’ipotesi è che il vescovo-giudice-conte, durante i dibattimenti sedesse proprio sotto l’immagine di Cristo giudice e accanto a San Michele, con gli imputati o i contendenti di fronte a lui in corrispondenza delle storie della Passione e accanto alla Ruota della Fortuna, a rammentargli di considerare, nell’esercizio del suo compito, quanto effimera sia la sovranità data da ricchezza, gloria e potere e quanto necessario sia invece un punto di appoggio più solido, dato solo da Dio. All’interno dell’Aula Picta non mancano immagini decorative e antropomorfe, con un alto zoccolo riccamente ornato e il sorprendente fregio continuo abitato da una variegata popolazione di animali domestici, belve e mostri di vario genere provenienti dai bestiari medievali oltre che da elementi vegetali.
Tra i dipinti più significativi della sala, per il buono stato di conservazione e l’importanza dei soggetti rappresentati, all’interno di una bifora rientrante nel muro, ci sono le effigi dei tre fondatori della chiesa bergamasca, nel IV secolo: il patrono e martire Sant’Alessandro, e i primi due vescovi, Narno e Viatore.
IL NUOVO ‘MUSEO DIOCESANO ADRIANO BERNAREGGI’ DI BERGAMO
Sabato 27 settembre 2025 la Diocesi di Bergamo apre le porte del nuovo ‘Museo Diocesano Adriano Bernareggi’ di Bergamo, nel cuore di Città Alta, all’interno dell’antico Palazzo episcopale di cui il cuore monumentale è rappresentato dall’Aula Picta. Il taglio del nastro sarà accompagnato da una grande festa aperta alla città in piazza Duomo. Il Museo Diocesano torna sul colle di San Salvatore, dove fu inaugurata la sua prima sede nel 1961. Su una superficie espositiva di oltre 900 metri quadrati troveranno sede 60 opere d’arte, distribuite in dieci sale su due piani. Si tratta di dipinti, sculture e oggetti preziosi risalenti ad un periodo che va dal ‘300 al ‘900: dalla scultura medievale a Lorenzo Lotto e Andrea Previtali, da Giovan Battista Moroni a Carlo Ceresa ed Evaristo Baschenis (XV-XVIII secolo), fino all’omaggio novecentesco a Manzù e Scorzelli. A queste esposizioni si aggiungono opere provenienti da alcune parrocchie della Diocesi, che saranno esposte temporaneamente, rendendo il nuovo Museo punto di riferimento e luogo di ricomposizione e narrazione del ricco patrimonio artistico custodito nelle chiese del territorio. Oltre alle sale espositive, il Museo offrirà spazi per conferenze e per attività educative, e una sala multimediale dedicata al racconto dello sviluppo architettonico di piazza Duomo e degli edifici che la circondano. Ma il nuovo Museo sarà molto più che uno spazio espositivo: si configura come un vero e proprio itinerario che unisce sin d’ora l’antico Palazzo vescovile (con l’Aula Picta), il Battistero trecentesco, i resti dell’antica Cattedrale paleocristiana (oggi ‘Museo dell’’Antica Cattedrale’) e, in futuro, anche l’area archeologica del Tempietto romanico di Santa Croce, posto tra il nuovo Museo e la Basilica di Santa Maria Maggiore, dove è in corso una campagna di scavo, condotta dalla Soprintendenza. Chiude idealmente il percorso l’Oratorio di San Lupo situato in via San Tomaso, in Città Bassa, dedicato all’arte contemporanea. Un museo diffuso, quindi, che invita a compiere un percorso storico e geografico dedicato alla Chiesa di Bergamo. Un biglietto unico consentirà ai visitatori di conoscere tutti questi luoghi, in un viaggio che abbraccia oltre 1700 anni di storia.